venerdì

MI PRESENTO

26 Novembre 2010

Mi presento:
-    essere umano di sesso femminile,
-         Ostetrica e non solo, mi adatto
-         professione per il momento lavoro nelle organizzazioni umanitarie (ong)
-         amante della vita
-         amante di ogni essere vivente e non
-         mi piace viaggiare
-         mi piace aiutare
-         mi piace apprezzare la piccole cose e essere felice

A soli sette anni sapevo che volevo fare l’ostetrica, a 12 avevo già scelto che volevo lavorare in Africa con ONG. Ho studiato per poter arrivare al mio fine. Il mio sogno di “cosa faro da grande” si è avverato nel 2006 quando ho cominciato a lavorare con la prima ONG. Sono a otto missioni e tra pochi giorni parto per la mia nona.
Cercherò di non nominare i nomi delle ONG per cui ho lavorato, perché non voglio rappresentarle, fare pubblicità o parlare in favore di queste, voglio poter esprimere i miei pensieri, le storie di vita che sono entrata in contatto grazie al mio lavoro, la mia esperienza. Se uno vuole sapere che cosa fanno le diverse ONG, e ne esistono veramente tante, che se le cerchi con i vari motori di ricerca.
Noi espatriati (coloro che lasciano la propria casa, patria, per andare a lavorare all’estero) esistiamo, siamo tanti; quando lavoriamo in un paese straniero ci dobbiamo identificare rappresentando la organizzazione per cui stiamo lavorando in quel momento, le nostre parole e azioni vengono identificate come se fosse quella  ONG che “ha detto” o  che “ha fatto”.
Basta mi sono stufata!
Ora parlo e rappresento me stessa!!

INIZIO LAVORO


Comincerò pubblicando cose che ho scritto qualche anno fa.

 
20/05/2008

Mi trovo seduta in treno; non sono in viaggio per una nuova missione, sto solo tornando indietro da Milano. Sono andata a fare quattro chiacchiere con la psicologa; sono pazza? No! Sono come al solito, quindi un po’ pazzerella lo sono… È normale che quando si torna da missioni umanitarie e soprattutto dopo una come quella del Pakistan ti facciano incontrare una psicologa. 
Il treno continua ad andare... Ho tempo per pensare, per riflettere questi miei ultimi anni…
Ho appena finito di leggere un libro di “XXX”, è una raccolta di lettere scritte da expat. che sono in missione. Mentre leggo mi dico, ma come sono bravi questi ragazzi che lasciano casa propria per andare in un mondo così diverso dal nostro… e poi mi dico: oh ma anche io sono una di questi tipi di persone!!  Non so quante lettere siano ma  in molte mi ci sono ritrovata, nelle paure, nelle emozioni addirittura in alcuni stessi posti.
Vediamo…
-         La mia prima missione è stata in Darfur (Luglio 2006): durata 3 settimane, ci hanno evacuato… alcuni miei colleghi sono stati strattonati dai ribelli e Janjaweed, io me la sono scampata per un soffio… Dopo l’evacuazione sono subito partita per un’altra missione..
-         Quindi  per la mia seconda missione (Agosto 2006), mi sono ritrovata in Uganda a Gulu, missione totalmente differente dalla prima, e perdurata 7 mesi.
-         La terza missione (Settembre 2007) è durata 6 mesi in Pakistan nel NWFP vicino al confine con l’Afganistan nelle regioni tribali, vengono chiamate così.

In Darfur avevamo un centro di salute nel mezzo di un IDP camp (campo profughi), in cui io dovevo essere l’ostetrica del progetto, prendermi cura delle partorienti con i vari problemi correlati e prestare assistenza alle “Survivor”, donne/bambine sopravvissute alle violenze sessuali … Ma di tutto ciò non ho avuta la opportunità di fare nulla grazie ai ribelli che ci hanno fatto evacuare…

In Uganda invece il contesto del paese era totalmente diverso poiché sono arrivata in un momento che la guerra tra LRA (Lord Resistance Army), i ribelli, e i militari del governo erano già in tregua. Fortunatamente questa situazione perdura nonostante i vari conflitti che ci sono di recente creati nei paesi limitrofi… mi dividevo tra 2 differenti centri di salute che erano situati in 2 differenti IDP camp ed ero la responsabile della implementazione del programma di PMTCT (prevenzione materno-fetale della trasmissione verticale del virus dell’HIV) e del SV (sexual violence) e in più stare dietro a tutto ciò che riguardava la donna (gravidanza, parto, contraccezione..).  I campi profughi erano abitati dagli nord ugandesi che non potevano più stare nelle loro abitazioni tradizionali (normalmente non si riuniscono in centri/paesi ma vivono tranquillamente nel mezzo dei propri campi con 1 tukul del marito e i rispettivi tukul delle mogli con i figli..) in quanto avevano il rischio di venir massacrati dai soldati dell’LRA o sequestrati obbligandoli a diventare dei soldati LRA, (ovviamente l’LRA preferiva prendere giovani ragazzi, più che altro bambini e bambine, e trasformarli in macchine/soldati senza aver paura di uccidere anche i propri familiari…)oppure potevano scegliere di venir protetti dai militari del governo e questo voleva dire rimanere reclusi negli IDP camp senza avere la possibilità di uscire in cerca di cibo in quanto questi li riconoscevano come ribelli e venivano ammazzati. Non scorderò mai i loro occhi pieni di questa voglia di cambiare questa situazione, di riprendere a costruire la propria vita; ma la paura era ancora lì nel fondo degli occhi. Dopo i vari trattati di pace il governo annunciò che gli sfollati potevano incominciare a ritornare a vivere nella maniera tradizionale e lasciare i centri profughi ormai trasformati in veri paesi. Nonostante questo fosse stato già annunciato da un po’ di tempo gli abitanti degli IDP non si muovevano troppo.. Mi ricordo che un giorno si mormorava che si aggirava un leone nei pressi del IDP camp e che era vietato uscire sino a quando  non venisse scovato… Non c’era nessun Leone, a parte la mia compagna di lavoro che russava fortissimo e che ricordava un leone, no scherzo, il leone in realtà era la paura di lasciare un posto che si sapeva essere protetto dalle minacce dell’LRA per ritornare a vivere nei campi, costruendosi la loro bella casetta, o meglio Tukul, fatta di mattoni di fango al forno. Di recente una ostetrica national staff con cui sono ancora in contatto mi ha riferito che uno dei due centri è stato chiuso perché finalmente la popolazione ha lasciato il campo profughi per tornare a vivere normalmente. Io non ero presente mentre c’erano le minacce dell’LRA, ma quando ero seduta a fare le consultazioni delle visite prenatali, mi rendevo conto che qualcosa nel passato era successo. Molte madri che si presentavano alle spalle avevano molte gravidanze come più di una decina e di bambini attualmente solo 3-4, e gli altri? Morti o spariti (bambini soldato). Ma le persone del Nord Uganda hanno una gran forza interiore, ne sono rimasta abbagliata! Soprattutto mi ha colpita con che facilità ridevano, i sorrisi che mi regalavano, quante risate, nonostante sapessi che fino a poco tempo fa hanno dovuto passare veramente delle atrocità enormi! A volte riuscivo a scorgere la loro tristezza negli occhi, se non si accorgevano che li osservavo ed erano soli senza parlare a nessuno, si fermavano a fissare il vuoto; chissà quali brutte immagini gli scorrevano davanti, ma poi li salutavi e ti regalavano dei grandi sorrisi.

La terza missione: in Pakistan
Ancora faccio fatica a inquadrare bene questa missione.
La gente che mi conosce mi chiede allora come è andata in Pakistan? Non so mai cosa rispondere, dico: ok, è stata dura ma ce l’ho fatta.
Ci sono tante cose che vorrei dire, ma è difficile parlare del Pakistan, si potrebbe mal interpretare così facilmente anche perché rimanere completamente obiettivi e non offendere nessuno è difficile. Potrei parlare delle mie paure.. ma così poi potrei far preoccupare i miei cari. Ma rileggendo questo libro, che consiglio a tutti di leggere, vedo che i miei colleghi hanno scritto cose che sicuramente non avrei mai detto apertamente. Ma in fondo questa è la nostra vita e i nostri cari devono pur sostenerci, inoltre poter dire quello che ci succede serve a noi per poter condividere il peso delle paure, dei momenti di nostalgia di casa, della tristezza che a volte ci accompagna, e non solo raccontare i bei momenti che sono quelli che ci danno la forza per continuare con il nostro lavoro!


Libri consigliati: 
-         “Memorie di un libro soldato” di Ishmael Beah
-         “Aboke Girls. Childrens Abducted in Northen Uganda” di De Temmerman Els (Le ragazze di Aboke)
-         "Non tornerò col dubbio e con il vuoto" di MSF

martedì

DAL PAKISTAN

 NWFP, Pakistan 21/02/2008

Caesarean section: which life to save


What a lucky baby you are? All your family knows that you are a Boy! So you are twice lucky, because you are a boy and because they know it! But what? You cannot find the right road? Well you find it? Come on, your sisters already went through it! What? You are not descending in the correct way! So from a normal labour now is prolonged labour, now you start to suffer, you are tired, too many hours stuck in this position: you are coming down with a face presentation, that means that you will not get out from that road! Don’t worry we can help you, even if we still don’t know your sex! We don’t care to this matters.
We have the facility to perform the caesarean section. Is night time but don’t worry; of we go to the Operating Theatre.
For the first time of my life I’m  helping the Gynaecologist to perform the operation, but is not just for this reason that I will remember this case. It is thanks to your grandmother, yes the mother of your mother. Just before going into the operating theatre she was standing next to your mother; I don’t understand your language but it’s seams normal that a mother stay next to her daughter in a difficult moment. So from my point of view, it looks like that she is taking care of your mother, she says words to the nurse that was standing just next to your mother. I’m curios, I ask to the nurse the translation, well with my big surprise she said: “ if you have to chose which life to save, save the life of the baby, you know is a Boy, the first Boy of the family!”. This was not the case, you are not dying or either your mother, you are just stuck in the wrong position! Your mother is very scared about the operation for her own life, she doesn’t know what is going on, the word of her mother are not really supporting in this situation. We tranquillise her, we tell her to don’t worry, everything will go fine.
Of curse the caesarean section proceed without complications: you are fine, just with a funny expression caused from the mal position, but in few hours your face it will be fine; your mother is fine as well. Your grandmother is really happy that you are a boy and healthy.
I’m not so happy, I’m just upset about how is terrible being a woman in this world. Even the mother of a female will not support her just because is a woman. That is why they shoot in the air when a baby boy is born, is a lucky thing, instead to be a female… is not the same, will never receive the same treatment.

venerdì

UNA "SNIFFATA" TUTTA COLOMBIANA

Grazie al mio lavoro sono stata testimone di cosa ci sia dietro al farsi una “sniffata”. Non che io abbia sniffato, ma ho visto come lottano per sopravvivere certi abitanti della Colombia. Cosa c' entra? Noi in Europa andiamo comprare la coca per quanti euro non lo so, ma sicuramente non ha lo stesso valore di una vita. Ancora che c'entra?
Coca = Morte. No, non parlo dei gravi effetti che possono portare all’individuo che l’assume; parlo di quelle vite, bambini, adulti, famiglie, che rischiano di morire o di morire per vivere nella zona della “produzione”, che è sotto continua minaccia da parte dai vari gruppi armati presenti in Colombia. Tutti vogliono stare in quelle zone: il clima, i fiumi, le montagne, così difficili da  penetrare, sono zone perfette per la coltivazioni di coca. Gli abitanti, un po’ perché alcuni ci sono nati, un po’ perché non hanno altro luogo dove andare essendo talmente poveri che si adattano a qualsiasi ricompensa per poter portare due soldi a casa, vivono in queste aree dimenticate da dio. Sono paesaggi bellissimi. Foto? No, non se ne possono fare.. troppo rischioso per vari motivi.
Il ruolo della ONG, con cui stavo lavorando, in questo contesto è quello di portare assistenza sanitaria nelle zone in cui non c’è presenza, o molto poca, del servizio sanitario colombiano. In queste aree, quindi si effettuano delle “Brigate mediche” cioè delle cliniche mobile in cui si rimane ad assistere la popolazione per 4-5gg in un paesino “tralasciato” offrendo servizi di visita dal medico generale per adulti e bambini, gyneco-ostetricia di base, psicologia, qualche test di base.
Mi ricordo che andando  con il Land Rover   per queste stradine praticamente inaccessibili a una macchina normale, stavo sempre con la testa fuori dal finestrino nonostante la polvere, per vedere quanta fosse imponente e bella la vegetazione! A volte si incontravano certe macchine 4x4 con delle cose sopra il tetto, strumenti per lavorare le piante di coca. Si incontravano anche i militari addetti allo sradicamento manuale, che poveretti vivevano accampati in piccole tende a lato delle strade, mi sembravano così indifesi… molti di essi così giovani (appena 18 anni)… veramente deve essere un duro lavoro con tutti i rischi che comporta! Nei paesi a bordo delle zone “off limit” la presenza dei militari era molto visibile, andando sempre più all’interno se ne vedevano meno, arrivando poi a zone dove non c’erano completamente più! Una volta mentre andavo a trasferire un paziente (adolescente con livello di emoglobina uguale a 3, non capivamo come fosse ancora vivo e soprattutto come avesse fatto a camminare 6-7 ore per raggiungerci!) a un paesino in cui l’ambulanza dell’ospedale aveva accesso, io e l’autista abbiamo notato uno strano pacchetto grande quasi come una mattonella per terra, in mezzo alla stradina sterrata, noi ci siamo guardati negli occhi e non abbiamo detto niente; quando siamo tornati in dietro ripassandoci vicini gli ho chiesto: ma è quello che penso? Lui mi dice che sicuramente sì! Che l’ hanno persa, o messa per vedere quello che avremmo fatto! Noi ovviamente abbiamo tirato dritto e l’indomani, durante il nostro ritorno  a casa dopo essere rimasti per 5 giorni nella zona rurale, non c’era più! Chissà che fine avrà fatto quel pacchetto “prezioso”, e chissà se era veramente cocaina, chissà forse era qualcos’altro.
Situazioni veramente difficili per tutti quanti: dalla popolazione, ai gruppi armati, dai militari agli operatori delle varie organizzazioni che cercano di lavorare in queste zone.
Il tipo di conflitto di cui parlo è lotta per il corridoio, per chi è il padrone della zona. Non si può dire chi sono i buoni o i cattivi, per una ragione o per un’altra tutti vogliono il corridoio e chi ci rimette? I poveretti che si vedono periodicamente un cambiamento di gruppo con le varie conseguenze. I bambini sicuramente non vedono la differenza tra gruppo armato ribelle e quello del governo, loro sanno solo che molte volte sono costretti a fuggire in altre zone, a vivere tutti ammassati in qualche casa dove certe persone/organizzazioni , chi prima e chi poi, portano coperte, cibo, acqua.. e che poi chissà quando possono ritornare nella loro casina, ormai distrutta, senza più gli animali, se ne avevano… A scuola per gran parte dell’anno non si va, non ci sono maestri, nessuno vuole andare a insegnare da quelle parti, a volte qualcuno si presenta ma poi scappa a gambe levate! Immaginiamoci la situazione sanitaria: primo nessun infermiere/medico vuole lavorare in queste zone rurali ; secondo sicuramente gli enti sanitari sono stati minacciati di non andare lì in quanto potrebbero vedere quello che non dovrebbero; terzo a volte quando hanno il permesso di andare comunque chiedono un contributo per visita e per i trattamenti (a volte anche per quei servizi che dovrebbero essere gratuiti) oltre a un numero chiuso di visite, bisogna prenotarsi, poche risorse umane (un medico e 1 o 2 infermiere) e poco tempo (un paio di giorni al mese). Almeno la vaccinazione sembra avere una buona copertura! Anche se mi ricordo che in una clinica mobile che abbiamo fatto, era arrivata una famigliola con 4 figli, di cui 2 già adolescenti, e nessuno aveva mai ricevuto una vaccinazione, questo vuol dire che non erano neanche denunciati, registrati all’anagrafe! Tutti erano increduli di questo caso speciale.
Non parliamo dei documenti… a parte il fatto che  per rimanere completamente neutrale non si chiede nessun tipo di riconoscimento a nessuno dando disponibilità di assistere qualsiasi persona purché sia priva di armi e di qualsiasi divisa; molti bambini e adulti sono privi del tesserino sanitario, documenti d’identità perché persi mentre scappavano, non ancora fatti perché sfollati da un’altra zona e completamente persi nella burocrazia così complicata, senza neanche sapere che è un loro diritto ricevere delle prestazioni sanitarie, ricevere un contributo in quanto sfollati… e molti bambini mai denunciati all’anagrafe…
Durante queste cliniche mobili non abbiamo mai avuto patologie veramente importanti, le più comune erano ipertensione, dolori di schiena, mal di testa… ma la cosa di cui veramente avevano bisogno era di attenzione psicologica per poter trovare degli strumenti, delle risorse personali per poter andare avanti nella vita di tutti i giorni e soprattutto accettare che va così! Posso capire che per qualcuno è difficile accettare che anche la salute mentale faccia parte del “pacchetto” salute, e invece è uno dei servizi che è più richiesto proprio da queste persone, bambini, adulti che spesso sono coinvolti direttamente da questo tipo di conflitto presente in certe zone della Colombia e non solo!

Mi ricordo di un giorno in un paesino veramente “off limits”. Una signora era ritornata durante uno degli ultimi giorni della clinica mobile a far vedere sua figlia che aveva la nausea, seduta sulla sedia guarda le finestre della struttura che stavamo utilizzando (una scuola in cemento) e mi dice: <<le finestre sono basse, dovete sdraiarvi bene a terra!>> io dico come? E lei mi ripete: << le finestre sono basse bisogna sdraiarsi a terra se arrivano a sparare, perché ormai sono passati 6 mesi dalla ultima presa del paesino, ogni 6 mesi qua c’è una guerra per la presa di potere del paesino!!>>, rimango a bocca aperta e ringrazio per il consiglio; poi, ultimo giorno di “brigada” le signore tanto cortesi che ci hanno aiutato con il vitto, al momento del saluto io dicevo “ci si rivede tra circa 3 mesi, quando ritorniamo”, e loro mi risposero: <<se siamo ancora vive, qua ogni 6 mesi se ne danno, speriamo di esserci, grazie ancora per essere arrivati fin qua!>>
Una delle cose che più mi ha colpito era lo spazio degli psicologi con il lavoro di gruppo dei bambini chiamato “pintando mi vereda”  (dipingendo il mio paesino),  i bambini dipingevano le cose brutte della loro zona, le cose che non piacciono, praticamente tutti dipingevano uccisione, sangue, militari, gente armata… uno di questi era un paesaggio con un fiume rosso, un uomo inginocchiato con una persona in piedi che gli punta alla testa una pistola  e nel cielo elicotteri. Non voglio essere cruda ma queste sono quello che poveri giovani bambini sono abituati a vedere, sono le loro realtà e devono imparare a conviverci. Per sopravvivere devi scendere a certi compromessi e a volte vuol dire entrare a far parte di un gruppo armato, o accettare di avere un “capo” che ti obbliga a coltivare cocaina, e se riesci anche a coltivare qualche alimento… ma poi arrivano gli elicotteri dei militari con le fumigazioni…. Tanto lavoro per niente… tutto distrutto… tutto bruciato…
E noi intanto siamo qua in Europa a comprarci un “Pezzo”….
E intanto in Colombia c’è ancora gente che sostiene che il “il conflitto armato” non esiste…


Ritornando dalla Colombia, mi sono detta: devo informare il più possibile i danni a terzi che si possono provocare anche solo per una semplice sniffata della cosiddetta “polvere bianca”.
Ed eccomi qui.
Grazie per l’attenzione!

Ps: chi volesse avere più informazioni su quanto succede in Colombia ci sono varie ONG che ci lavorano  e ovviamente splendidi “report”…. Basta digitare colombia, vittime e ong…. O anche solo colombia.