venerdì

INIZIO LAVORO


Comincerò pubblicando cose che ho scritto qualche anno fa.

 
20/05/2008

Mi trovo seduta in treno; non sono in viaggio per una nuova missione, sto solo tornando indietro da Milano. Sono andata a fare quattro chiacchiere con la psicologa; sono pazza? No! Sono come al solito, quindi un po’ pazzerella lo sono… È normale che quando si torna da missioni umanitarie e soprattutto dopo una come quella del Pakistan ti facciano incontrare una psicologa. 
Il treno continua ad andare... Ho tempo per pensare, per riflettere questi miei ultimi anni…
Ho appena finito di leggere un libro di “XXX”, è una raccolta di lettere scritte da expat. che sono in missione. Mentre leggo mi dico, ma come sono bravi questi ragazzi che lasciano casa propria per andare in un mondo così diverso dal nostro… e poi mi dico: oh ma anche io sono una di questi tipi di persone!!  Non so quante lettere siano ma  in molte mi ci sono ritrovata, nelle paure, nelle emozioni addirittura in alcuni stessi posti.
Vediamo…
-         La mia prima missione è stata in Darfur (Luglio 2006): durata 3 settimane, ci hanno evacuato… alcuni miei colleghi sono stati strattonati dai ribelli e Janjaweed, io me la sono scampata per un soffio… Dopo l’evacuazione sono subito partita per un’altra missione..
-         Quindi  per la mia seconda missione (Agosto 2006), mi sono ritrovata in Uganda a Gulu, missione totalmente differente dalla prima, e perdurata 7 mesi.
-         La terza missione (Settembre 2007) è durata 6 mesi in Pakistan nel NWFP vicino al confine con l’Afganistan nelle regioni tribali, vengono chiamate così.

In Darfur avevamo un centro di salute nel mezzo di un IDP camp (campo profughi), in cui io dovevo essere l’ostetrica del progetto, prendermi cura delle partorienti con i vari problemi correlati e prestare assistenza alle “Survivor”, donne/bambine sopravvissute alle violenze sessuali … Ma di tutto ciò non ho avuta la opportunità di fare nulla grazie ai ribelli che ci hanno fatto evacuare…

In Uganda invece il contesto del paese era totalmente diverso poiché sono arrivata in un momento che la guerra tra LRA (Lord Resistance Army), i ribelli, e i militari del governo erano già in tregua. Fortunatamente questa situazione perdura nonostante i vari conflitti che ci sono di recente creati nei paesi limitrofi… mi dividevo tra 2 differenti centri di salute che erano situati in 2 differenti IDP camp ed ero la responsabile della implementazione del programma di PMTCT (prevenzione materno-fetale della trasmissione verticale del virus dell’HIV) e del SV (sexual violence) e in più stare dietro a tutto ciò che riguardava la donna (gravidanza, parto, contraccezione..).  I campi profughi erano abitati dagli nord ugandesi che non potevano più stare nelle loro abitazioni tradizionali (normalmente non si riuniscono in centri/paesi ma vivono tranquillamente nel mezzo dei propri campi con 1 tukul del marito e i rispettivi tukul delle mogli con i figli..) in quanto avevano il rischio di venir massacrati dai soldati dell’LRA o sequestrati obbligandoli a diventare dei soldati LRA, (ovviamente l’LRA preferiva prendere giovani ragazzi, più che altro bambini e bambine, e trasformarli in macchine/soldati senza aver paura di uccidere anche i propri familiari…)oppure potevano scegliere di venir protetti dai militari del governo e questo voleva dire rimanere reclusi negli IDP camp senza avere la possibilità di uscire in cerca di cibo in quanto questi li riconoscevano come ribelli e venivano ammazzati. Non scorderò mai i loro occhi pieni di questa voglia di cambiare questa situazione, di riprendere a costruire la propria vita; ma la paura era ancora lì nel fondo degli occhi. Dopo i vari trattati di pace il governo annunciò che gli sfollati potevano incominciare a ritornare a vivere nella maniera tradizionale e lasciare i centri profughi ormai trasformati in veri paesi. Nonostante questo fosse stato già annunciato da un po’ di tempo gli abitanti degli IDP non si muovevano troppo.. Mi ricordo che un giorno si mormorava che si aggirava un leone nei pressi del IDP camp e che era vietato uscire sino a quando  non venisse scovato… Non c’era nessun Leone, a parte la mia compagna di lavoro che russava fortissimo e che ricordava un leone, no scherzo, il leone in realtà era la paura di lasciare un posto che si sapeva essere protetto dalle minacce dell’LRA per ritornare a vivere nei campi, costruendosi la loro bella casetta, o meglio Tukul, fatta di mattoni di fango al forno. Di recente una ostetrica national staff con cui sono ancora in contatto mi ha riferito che uno dei due centri è stato chiuso perché finalmente la popolazione ha lasciato il campo profughi per tornare a vivere normalmente. Io non ero presente mentre c’erano le minacce dell’LRA, ma quando ero seduta a fare le consultazioni delle visite prenatali, mi rendevo conto che qualcosa nel passato era successo. Molte madri che si presentavano alle spalle avevano molte gravidanze come più di una decina e di bambini attualmente solo 3-4, e gli altri? Morti o spariti (bambini soldato). Ma le persone del Nord Uganda hanno una gran forza interiore, ne sono rimasta abbagliata! Soprattutto mi ha colpita con che facilità ridevano, i sorrisi che mi regalavano, quante risate, nonostante sapessi che fino a poco tempo fa hanno dovuto passare veramente delle atrocità enormi! A volte riuscivo a scorgere la loro tristezza negli occhi, se non si accorgevano che li osservavo ed erano soli senza parlare a nessuno, si fermavano a fissare il vuoto; chissà quali brutte immagini gli scorrevano davanti, ma poi li salutavi e ti regalavano dei grandi sorrisi.

La terza missione: in Pakistan
Ancora faccio fatica a inquadrare bene questa missione.
La gente che mi conosce mi chiede allora come è andata in Pakistan? Non so mai cosa rispondere, dico: ok, è stata dura ma ce l’ho fatta.
Ci sono tante cose che vorrei dire, ma è difficile parlare del Pakistan, si potrebbe mal interpretare così facilmente anche perché rimanere completamente obiettivi e non offendere nessuno è difficile. Potrei parlare delle mie paure.. ma così poi potrei far preoccupare i miei cari. Ma rileggendo questo libro, che consiglio a tutti di leggere, vedo che i miei colleghi hanno scritto cose che sicuramente non avrei mai detto apertamente. Ma in fondo questa è la nostra vita e i nostri cari devono pur sostenerci, inoltre poter dire quello che ci succede serve a noi per poter condividere il peso delle paure, dei momenti di nostalgia di casa, della tristezza che a volte ci accompagna, e non solo raccontare i bei momenti che sono quelli che ci danno la forza per continuare con il nostro lavoro!


Libri consigliati: 
-         “Memorie di un libro soldato” di Ishmael Beah
-         “Aboke Girls. Childrens Abducted in Northen Uganda” di De Temmerman Els (Le ragazze di Aboke)
-         "Non tornerò col dubbio e con il vuoto" di MSF

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